Secondo Plinio il Vecchio, la pergamena come
supporto scrittorio sarebbe stata introdotta, in sostituzione
del papiro nella città di Pergamo, in Asia
Minore, attorno al II secolo a.C. Si tratta del vellum,
ovvero di una pelle di animale, bovino nell’area
anglosassone e, generalmente, ovino o caprino per
l’Italia e paesi del mediterraneo, nota anche come
cartapecora o carta pecudina.
In campo documentario la pergamena cominciò a
essere usata non prima del VII secolo. Fra i secoli
VIII e IX, per ragioni economiche, il fabbisogno di
pergamena fu risolto con un procedimento tecnico
antichissimo: il palinsesto, annullamento mediante
raschiatura con la pietra pomice di una scrittura
esistente, ma considerata superata, per poter usare
nuovamente il supporto. Il suo impiego non scomparve
neppure con l'invenzione della stampa, poiché si
continuò a ricorrere alla cartapecora per imitare i
manoscritti antichi e per i documenti solenni.
Trattandosi di pelle è stato anche possibile tingere la
pergamena, così nell’Alto Medioevo furono prodotte
pergamene purpuree, utilizzate per la scrittura di libri
o documenti particolarmente solenni redatti con
inchiostri pregiati quali l'oro o l’argento: ne è un
esempio il celeberrimo Codice Purpureo di Rossano,
noto come Codex Purpureus Rossanensis (Museo
Diocesano della Città). L’inchiostro antico utilizzato
per scrivere sulle pergamene richiedeva il ricorso a
complessi procedimenti alchemici, alcune ricette
parlano, addirittura, di estratti polverizzati di corteccia
vegetale, piombo, sale ferroso e tannino, che
hanno reso gli scritti indelebili nel tempo.